Scoprire le bellezze della nostra città: i busti del Pincio
228 volti che ci accompagnano nella nostra passeggiata lungo il colle dei giardini
Fra tutti i giardini di Roma, quello del Pincio è senza alcun dubbio il più conosciuto e di certo tra i più belli. Situato tra piazza del Popolo, Villa Medici e il Muro Torto, attraverso via delle Magnolie il Pincio ci conduce direttamente a Villa Borghese.
I giardini su questo colle vennero concepiti dall’amministrazione napoleonica, intorno al 1810, ma ciò che al suo interno si trova possiede una storia differente, e di certo più difficile. Parliamo dei busti del Pincio. 228 volti che da oltre un secolo si ergono nei viali del giardino, accompagnandoci in una passeggiata di cultura, ricca di storia… malgrado gli atti di vandalismo ed i successivi restauri che cercano di porre rimedio al danno commesso.
Origini dei busti
Ma le loro vicissitudini travagliate hanno origine ancor più antica. I busti del Pincio, infatti, furono ideati da Giuseppe Mazzini, Triunviro della Repubblica Romana, al fine di ornare i viali del colle di tutte quelle figure che avrebbero mostrato ai visitatori i volti più illustri degli italiani nel corso della storia.
Una simile idea patriottica fu subito approvata e vide un fondo di oltre 10.000 lire per la realizzazione di tali opere. Il lavoro sui busti del Pincio, tuttavia, terminò troppo tardi, quando la Repubblica ormai finita, aveva ceduto il posto al potere del Vaticano. E fu proprio la chiesa a rinchiudere in un magazzino tutti gli illustri volti realizzati in marmo, giustificando il proprio gesto con la volontà di non voler mostrare molti di quei nomi che un tempo crearono scompiglio nella nazione.
Fu così che solo fra il 1851 ed il 1852 alcuni dei busti del Pincio fecero la loro apparizione. Alfieri, Canova, Tiziano, Palladio, erano fra di essi. Ma occorsero diversi anni prima che i volti di Savonarola, Caio Gracco o Pietro Colletta poterono essere prelevati e disposti sulle vie del Pincio.
Eppure, anche in quest’occasione, alcuni di essi subirono cambiamenti a dir poco radicali. Grazie all’intervento dello scultore Sarrocchi, il Gattamelata divenne Orazio; Leopardi divenne Zeusi, così come Macchiavelli divenne Archimede. Affinché i sentimenti di ‘ribellione’ che un tempo quei nomi potevano suscitare, così mutati, sarebbero stati accolti differentemente. E si mostrano ancora a noi, nella loro storia difficile, i busti del Pincio così concepiti. Alcuni illustri e riconoscibili, altri mutati nell’aspetto, altri ancora, come quello di Alfieri, realizzati appositamente in un periodo successivo rispetto agli altri. Eppure, ancora oggi, sembrano essere vittime dei pensieri delle persone.
Con i loro nasi rotti, la vernice scura sul loro marmo bianco, i busti del Pincio si mostrano sfigurati. Neanche i continui interventi di restauro sono riusciti a donare loro un pò di quella rispettabilità e sentimento patriottico che Mazzini, nel tempo che fu, avrebbe voluto ispirare in chi li guardava.